domenica 29 marzo 2009

Quello che le donne si chiedono


Lei deve uscire per lavoro, ha un incontro fuori milano alle 21:00.
Lui torna a casa per tempo, è sempre molto disponibile quando si tratta di supportare la moglie precaria con i suoi precari e strampalati impegni di lavoro.

Lei torna a casa alle 23:30 (lui aveva già chiamato, impensierito, dubitando della durata di queste conferenze da oratorio)
Lui è stravaccato sul divano.
Insieme danno l'antibiotico ai bambini ammalati.

Poi lei svuota la lavatrice, stende i panni,sistema alla bell'e meglio la cucina, si fa una tazza di latte caldo con i biscotti, che non ha ancora cenato.
E, mentre traffica tra panni umidi e pentoloni con il riso bollito appiccicato, a un certo punto si affaccia alla sua mente una domanda: "Perché?"

Lei si chiede perché la normalità consista nell'arrivare a casa a qualsiasi ora del giorno e della notte, e mettersi a svuotare la lavatrice, mentre la normalità per lui sia stravaccarsi sul divano.

Perché lei sa che, se si fosse ricordata di chiedere: "Svuoti la lavatrice?", lui l'avrebbe sicuramente fatto. Ma se non glielo chiede, la lavatrice rimane un oggetto nascosto e dimenticato, così come il cesto dei panni sporchi.

Lei ha capito che non è tanto una questione di "fare", quanto una questione di "pensare". L'ha capito da quando lui ha cambiato ufficio, e sotto il suo ufficio c'è un supermercato, per cui lei ogni tanto gli chiede di fare la spesa, e la domanda che si sente invariabilmente rivolgere è: "Cosa devo comperare?".

Lei ha anche imparato a stare zitta, quando alla suddetta domanda la risposta è "Fai tu" e poi si ritrova il frigo pieno di ravioli, insaccati e cibi precotti di dubbia provenienza.

All'inizio lei pensava (e in parte ne è ancora convinta) che la colpa fosse di tutte le donne che, martiri del focolare, esautorano il poveretto rispetto a qualsiasi tipo di partecipazione responsabile alle vicende domestiche. Insomma, uno scettro ottenuto con il martirio. Regine scontente, ma pur sempre regine.

Poi questa spiegazione non l'ha più convinta. Le è rimasta solo una domanda, e nessun universo interpretativo di riferimento.

mercoledì 25 marzo 2009

Arma Letale, ossia: quando si ammalano in due

Sabato mattina il piccolo ingegnere si è svegliato con la febbre. Abbiamo così inaugurato il weekend.
Domenica febbre.
Lunedì chiamo la pediatra.
Andiamo dalla pediatra.
Non ha niente.

La febbre continua, tra alti e bassi.
Ieri mi chiama la mamma di piccolo-biondino, dicendomi che anche suo figlio, che è stato qui a giocare martedì scorso, ha la febbre da sabato. Lui ha iniziato l'antibiotico.
Poi mi chiama la Grande Nonna, per la seconda volta. E mi dice che anche GioGio, il cuginetto, sta prendendo l'antibiotico. Ma lui ha la febbre da venerdì.

Ieri sera mettiamo a letto la piccoletta con la febbre.

Alle dieci di sera richiama la Grande Nonna, per il bollettino medico. Ricomincia con la storia dell'antibiotico. Non sa che anche quella piccola è a rischio, mi guardo bene dal dirglielo per non prolungare la telefonata minatoria (per usare un eufemismo), mentre tento di leggere le slide di Flavia su mamme blogger e marketing 2.0.

Questa mattina il piccolo ingegnere ha ancora qualche linea di febbre e la tosse cavallina. La piccoletta ha inequivocabilmente assimilato tutti i virus del fratello. Chiamo la pediatra. Acconsente e approva l'opzione antibiotico, per il piccolo ingegnere. Quell'altra dobbiamo tenercela malata ancora qualche giorno, mi sa, prima di approdare alla santa mistura guaritrice.

Così oggi sono tutti e due a casa. Una cosa che non succedeva da tre anni, quando abbiamo collezionato, in successione.
Novembre 2005: varicella di piccolo ingegnere, anni quasi 3
Dicembre 2005: varicella di piccoletta, mesi 3
Gennaio 2006: scarlattina piccolo ingegnere, bronchite piccoletta, quinta malattia piccoletta.

Come si vede, la fratellanza è una cosa che si sperimenta in salute, ma soprattutto in malattia, da queste parti.

P.S. Per non parlare del fatto che.
Una va a letto a mezzanotte, e mentre cerca di addormentarsi si ritrova nel letto uno che, a un certo punto: "Carta!" "Forbice!" "Sasso!". L'ingegnere è in fase Brain Training di ritorno. Si avvicina il giorno del suo compleanno.

martedì 24 marzo 2009

Lettera a mia figlia


Cara piccoletta,
ogni tanto penso a quando sarai grande, a quando sarai diventata una splendida donna, e sarai orgogliosa dei tuoi splendidi occhi verdi, e non desidererai più avere gli occhi scuri, come la mamma. Ti auguro di essere una donna forte e generosa, allegra e decisa. Ti auguro di avere la saggezza di ascoltare i desideri del tuo cuore, e di avere il coraggio di seguirli. Ti auguro di innamorarti, e ti auguro di saper coltivare l'amore, giorno per giorno. Ti auguro di essere paziente, e fiera, e soddisfatta di quello che costruirai.Ti auguro di avere successo, e di sapere sempre che vincere è importante, ma anche che non sempre si vince. Ti auguro una vita piena di bimbi.

MA ANCHE.

Ti auguro di rimanere sempre come ora, biondina e glabra. Perché la guerra al pelo è lunga, faticosa e frustrante. Una delle battaglie più estenuanti, tra le numerose battaglie che una donna deve intraprendere, nel corso della propria vita. E che una donna affronta, sapendo di non avere alcuna speranza di vincere.

lunedì 23 marzo 2009

Iscrizione al nido: una guida della Provincia di Milano


Tempo fa stavo preparando un documento e mi è capitata tra le mani questa interessantissima guida per i genitori che devono iscrivere i bimbi all'asilo nido. Interessante perché, per la prima volta, si parla di G-E-N-I-T-O-R-I, ossia mamme-e-papà, e non M-A-M-M-E, e basta. Un primo passo verso la parità di genere nell'adempiere ai compiti di accudimento dei bebé.

Oh, là. La trovate qui.

Consiglio una rapida lettura (sono 44 pagine, possiamo saltare a piè pari tutte le manfrine sull'importanza del nido, ci siamo già passate) anche alle mamme che non fossero interessate all'iscrizione all'asilo nido. Sempre utile per iniziare una conversazione del tipo: "Sai caro, oggi ho letto...", un giusto preambolo per dirgli che, alla prossima riunione di classe, ci deve andare lui.

giovedì 19 marzo 2009

La Pianura Padana e i fusi-da-città (pensieri sconsclusionati di una mamma tra la Via Emilia e il West)


Oggi ho percorso la Pianura Padana, su e giù per una buona metà, da sola, in macchina.
Lunga e diritta correva la strada... Una rottura di palle...

Accompagno a scuola il piccolo ingegnere, e mi metto in macchina. Un traffico imbarazzante, di quelli in cui ti chiedi dove cavolo va tutta questa gente, in macchina. Ti chiedi se sia proprio indispensabile, andarci in macchina, ma siccome anche tu sei in macchina, ipotizzi che sì, forse è indispensabile. Forse. Svicolo sulla tangenziale, scivolo tra muri di camion (e continui a chiederti fino a quando durerà, questo assedio ininterrotto di camion) ed entro in autostrada. Mentre vado non riesco a capire se sono in ritardo per l'appuntamento delle 10:30, oppure no. Già mi fanno pesare il fatto che vengo da Milano, figuriamoci se arrivo in ritardo.

Alle 10.00 sono all'uscita del casello dell'autostrada, alle 10.10 in centro a Parma. Se uno arriva al casello dell'autostrada di Milano, forse dopo 10 minuti è a San Donato. Se uno arriva al casello dell'autostrada a Roma, forse dopo 10 minuti è ancora lì, sul raccordo, a cercare di farsi una ragione del fatto che sono tutti fermi e che inevitabilmente arriverà in ritardo. Mi colpisce sempre, questa cosa che quando uno cambia città, deve sempre cambiare un po' il fuso-orario, la percezione e la capacità degli spostamenti, la quantità di cose che puoi fare in una giornata. Quando mi capitava di andare a Roma, i primi tempi, collezionavo sempre dei ritardi clamorosi (e delle fatture del taxi decisamente da record, considerando quanto mi pagano).

Pensavo a tutte queste cose mentre camminavo con il mio passo da milanese, schivando le biciclette (che quando uno viene da milano e attraversa la strada, guarda se passano le macchine, per cui il suo occhio è abituato a oggetti moventi di determinate dimensioni, e le bici non le vede, soprattutto se è un po' miope e ha perso gli occhiali, e per guidare usa un paio di vecchi occhiali che spariscono in borsa appena parcheggiata la macchina) e affrontando la prima pippa del giorno sul fatto che Parma sia capitale di un sacco di cose (il prosciutto, la musica, la pittura, la famiglia, la sostenibilità e non so che altro).

Però una deve andare a Parma per frequentare certi ambienti e scoprire, per esempio, che l'ultima raffinatezza in fatto di moda maschile è: far ricamare le cifre sul polsino della camicia.

Finita la riunione, mi rimetto in macchina e in altri dieci minuti sono in autostrada. Mentre percorro un po' più rilassata la via del ritorno, non posso fare a meno di stupirmi, ancora una volta, di quanto la Pianura Padana sia PIATTA. Un'immensa distesa di campi e capannoni, senza orizzonte, senza cielo. Insomma, a me tutta questa pianura METTE L'ANSIA. Mi mette a disagio, anche se è la mia terra, in fondo. Non so perché, anche se ricordo perfettamente la prima volta che provai questa sensazione: avevo vent'anni, era la fine di luglio, tornavamo da Palermo in treno. Un viaggio lunghissimo, un'Italia tutta spiagge e colline e montagne e, dopo la galleria, sbucare nella pianura larga. Un altro spazio. Un'altra monotonia.

Allora non vivevo di fusi-da-città e di appuntamenti e di lavori da difendere con le unghie, mi godevo le vacanze che erano appena iniziate, dopo gli esami all'università. Io sono cambiata, anche la Pianura Padana è cambiata, è molto più grigia e ci sono meno campi. Ma è rimasta piatta uguale, e a me fa venire l'ansia uguale.

martedì 17 marzo 2009

Postilla al post precedente


La piccoletta ha passato tutto il pomeriggio a fare la smorfiosa con gli amichetti del fratello maggiore. Urge revisione di qualche parametro educativo e spiegazione di ruoli e comportamenti consoni ad una bimba di anni 3,5.

Un tranquillo pomeriggio milanese


Il mio post di oggi sta sul BlogCafé di VereMamme, che l'argomento capitava giusto giusto a fagiolo.

Oggi, invitati a pranzo e a giocare i due migliori amici del piccolo ingegnere, il piccolo-perfettino e il piccolo-biondino. Giocando con le spade di Star Wars (non so come, ero davanti al pc :-S) il piccolo ingegnere è riuscito a farsi male sbattendo una mano sul tavolo del soggiorno. Il risultato è che ha un dito viola e gonfio. Ora li ho piazzati tutti davanti alla TV, a vedere cosa? Batman e Robin, of course.

Aspetto consulto con la mamma del bimbo-perfettino, che arriva a momenti, per decidere se fare una gita al pronto soccorso, o no. Era giusto da un po', che non passavamo da quelle parti.

domenica 15 marzo 2009

Domande trabocchetto


A cena, da sola con i due nani. Dopo una profusione di "mamma ti voglio bene", arriva la stoccata del piccolo ingegnere.

"Mamma, ma tu vuoi più bene a me o alla Grande Nonna?"
"Urca, che domanda difficile!"
Per fortuna sto trafficando con i piatti, così mi prendo due secondi per pensare
"Beh, alla Grande Nonna voglio bene perché è la mia mamma, per cui le voglio tanto bene, me voi siete i miei bimbi, vi ho portato nella pancia, per cui... Voi siete le persone a cui voglio un bene speciale, a nessun altro posso volerlo, un bene così".

Spero di essermela cavata. Lo scoprirò tra almeno 20 anni.

giovedì 12 marzo 2009

Soddisfazioni di mamma


Pomeriggio di compiti di recupero con il piccolo ingegnere, dopo essere stato assente da scuola per ben 5 giorni. La piccoletta tenta di dare fastidio, lagna un po', poi la metto a colorare, poi si stufa e se ne va in camera a giocare.

Sono quasi le 7, dalla camera tutto tace.
Vado a vedere cosa sta combinando.

Quando entro la trovo tutta agghindata, con le collanine e i braccialetti di legno colorato, la sua coroncina da principessa in testa, e alle prese con i suoi trucchi, le labbra rosa.

"Ma sei bellissima!!". Tesorino di mamma. Mi fa una tenerezza, questa bimba, ogni tanto.
"Sono pronta per la festa di Edera Velenosa!! E tu fai il servo di Edera!"
"Va bene, allora vieni in cucina che mentre taglio le zucchine per cena, facciamo la festa e io faccio il servo di Edera". Andiamo in cucina, poi mi viene un'idea.

"Siccome in ogni festa fatta come si comanda c'è la musica, mettiamo su un po' di musica!"
Mi avvio verso lo stereo, in soggiorno, pensando di mettere su qualcosa a misura di bambino, tipo De Gregori, o Vecchioni, che sono giusto in cima alla pila dei CD.
"Mettiamo Buonanotte fiorellino e balliamo?" propongo io.
"No mamma, mettiamo questa", e mi allunga il CD.



Ragazzi, queste sono soddisfazioni, per una mamma. Anche se è stato l'ingegnere, un sabato mattina, ad introdurre i suoi figli al rock, temendo che la mamma li rimpinzasse solo di cantautori italiani.

Abbiamo messo su Where the Streets Have No Name (l'intro di questa canzone piace da matti, alla piccoletta), alzato un po' il volume, e abbiamo fatto la festa di Edera, ballando e saltando con il piccolo ingegnere, che aveva giusto bisogno di sfogarsi un po'. Alla faccia dei vicini benpensanti. E delle zucchine da tagliare.

mercoledì 11 marzo 2009

Tutte le strade portano al Duomo


Abbiamo appena finito una commissione in Viale Regina Giovanna, martedì 10 marzo. Sono le 14:00 e la città è in pausa pranzo.

Mentre traffico per far salire il piccolo ingegnere sul sellino della bici, mi si avvicina una, a piedi:
"Scusi, per Piazza del Duomo sempre dritto?"
"..."
Momento di perplessità. Ma questa sa dove sta Piazza del Duomo? E ci vuole andare davvero a piedi, quando ha metropolitana praticamente sotto il sedere?
"Ah no, lo sapevo, dovevo andare di là!" e indica la sinistra, cioè Corso BuenosA.
"Mah, se vuole può andare anche per di qua... Sempre dritto, poi quando arriva in una piazza dove stanno facendo i lavori gira a destra, fa tutto il corso ed è arrivata".
Calcolo mentalmente il percorso, quanto ci impiegherà?
"No, no, allora vado per di là. Grazie"

Forse c'aveva ragione lei, si fa prima per di là. Però non avevo mai pensato che tutte le strade, oltre che a Roma, portassero anche in Piazza del Duomo.

lunedì 9 marzo 2009

Mamme in-casinate vs. mamme in-sopportabili


Oggi, giusto per inaugurare alla grande la rentrée, piscina: ho dovuto barattarla con una partita a NintendoDS, per placare le furie del piccolo ingegnere. Con tanto di pippone ottimista, mentre eravamo in macchina: mancano SOLO 11 lezioni, per cui basta lagne.

Dato che ormai da qualche anno raschio il fondo di un guardaroba creato con pezzi unici di H&M, Zara e Promod, oggi ero così agghindata: camicia trasparente nera (acquistata da Promod almeno 10 anni fa sicuramente in stato ormonale confusionale, probabilmente intorno a capodanno) con sopra maglione nero, che per ovvi motivi non si poteva togliere, tanto più che la camicia si è ristretta negli anni (è la camicia, giuro, non sono io). Un abbigliamento davvero infelice, per affrontare le fatiche della piscina.

In un altro post parlerò dei buoni propositi che si fanno in vacanza, e che poi decadono fin da subito, come: nuotare mentre i nani sono in piscina.

Così agghindata, dopo aver assistito alla lezione aperta ai genitori senza batter ciglio e piangendo tutte le mie lacrime dentro di me, accolgo i due nuotatori all'ingresso dello spogliatoio, "Mamma, hai visto come sono stato bravo?"
"Mamma, hai visto che ho preso il pesciolino arancione?" e vari "bravo!", "bravissima", "sì, amore, ho visto che hai fatto i tuffi", mi metto in coda nella caienna di bimbi/mamme/docce bollenti, corro a prendere il ciuccio della piccoletta che senza non può fare la doccia, faccio la doccia alla piccoletta, trasporto i due piccoli, in stato semiconfusionale, nello spogliatoio, li asciugo, li vesto tutti e due (il piccolo ingegnere è troppo preso a raccontarmi la storia della penna magica, sentita a scuola, per vestirsi da solo). Sono grondante.

A quel punto compare la Mamma-che-Non-Vorrei-Mai-Incontrare. La McNVMI è la mamma di un compagno d'asilo del piccolo ingegnere, felicemente ritrovata da quando abbiamo cambiato giorno per i corsi in piscina. La McNVMI è una che, durante gli anni dell'asilo, mi ha fatto più volte notare "quanto ero giovane" perché non avevo 40 anni compiuti e suonati come tutte le mamme "normali" di bambini di 3 anni in questa città. E questa è solo la punta dell'iceberg.

"Oooooh ciao!!!"
"Oooooh, ciao, come state?"
Sgombriamo il campo con falsi sorrisi di circostanza
"Ah, ma come, non sei dentro? C'era la lezione aperta ai genitori, oggi!"
"Ah sì? Oh che peccato, non me ne sono accorta, allora vado dentro subito a vedere".

Ecco, ce ne siamo liberati. Ricominciamo. Finisco di vestire il piccolo, finisco di vestire la piccola, andiamo ai phon. Asciugo il piccolo, asciugo la piccola, che ha una marea di capelli e tutti lunghi, e mi chiedo perché anche con questo phon a 200 gradi non si asciughino. Nel frattempo arriva lei e, mentre il figlio si asciuga i capelli, lo veste.

Ansimante, arrivo nel corridoio dove ci sono le scarpe e le giacche, una specie di cunicolo infernale per accedere al purgatorio, ossia l'uscita. Il piccolo ingegnere ha perso un calzino, e non trova una scarpa. Metto calze e scarpe alla piccoletta, cerchiamo il calzino del piccolo. Nel frattempo arriva lei, la McNVMI. Il figlio si infila le scarpe da solo, lei prende le giacche mentre io sto arrancando ancora con le borse, i calzini e le scarpe.

"Ma scusa, a che ora finiscono i tuoi, se iniziano alle 5 e 20?", fa lei.
"Alle 6", rispondo con un grugnito.
"Ah beh, certo... Ad averne due... Beh, ciao"
"Ciao"
Non so cosa mi abbia trattenuto dal commettere un mammicidio, oggi, intorno alle 18:40.

venerdì 6 marzo 2009

Asilo Neve: buoni o cattivi genitori?


Fare un discorso in un posto tipo un'ovovia è come fare un discorso al Grande Fratello: sai che almeno una decina di sconosciuti stanno ascoltando. E poi magari qualcuno lo dice o lo scrive in giro.

Bene, ieri una signora, per una quindicina buona di minuti, si è scagliata senza ritegno contro i genitori che lasciano i bimbi all'Asilo Neve, sostenendo che tali genitori sono degli "sciagurati" "senza cuore" che "se ne fregano" dei loro figli, e tanto varrebbe fosse tolta loro la patria potestà.

Che è l'Asilo Neve? L'Asilo Neve è una deliziosa casetta in legno dove i genitori possono lasciare i bimbi dalle 9:30 fino alle 16:30 circa (credo), pagando una quota che (mi pare) equivale a circa un mese di asilo nido. Una cosa mi aveva molto colpito, quando ci sono passata davanti. Un cartello sulla porta, con scritto: Si ricorda che l'Asilo Neve per i bimbi che frequentano la scuola sci non inizia prima delle 9:30. Dato che l'Asilo Neve è nato per permettere ai genitori di sciare, mi immagino scenette tragi-comiche con questi genitori-sciatori che abbandonano bimbi in età prescolare lì, davanti alla porta, alle 9:00 del mattino.

Non so cosa avesse scatenato le ire funeste della signora. Comunque. Non che avessi mai riflettuto sull'Asilo Neve, anche se francamente questi bambini mi hanno sempre fatto un po' di tristezza, a dirla tutta. Dopo la tirata della signora dell'ovovia, comunque, ci ho ripensato.

Ho pensato al tempo che trascorriamo con i nostri figli, e a quanto è importante e diverso il "tempo della vacanza", tanto che le foto delle vacanze sono sempre diverse, in qualche modo. E a quanto, d'altronde, meno tempo stiamo con i nostri bimbi, e meno tempo sappiamo stare con loro (al di là di tutto quello che si dice sul "tempo di qualità"): e se lavoro full-time tutto l'anno e quando vado in vacanza devo sciare e quindi lo mollo all'asilo neve, quando cavolo ci sto con mio figlio?!? E a quanto, infine, crescono in fretta: ok, non scio dalle 9 alle 17 per 5 anni, che sarà mai, nell'economia di una vita?

Non so, al solito, non sono riuscita a darmi una risposta, dato che non mi sognerei mai di dire che i genitori che lasciano i bimbi all'Asilo Neve sono "cattivi". Però, insomma, un qualche giudizio di valore bisogna pur darlo, ogni tanto: e mi viene da pensare che i genitori che dedicano il loro tempo ai propri figli, a costo di non fare tutte le piste della valle, forse sono un po' meglio.

martedì 3 marzo 2009

L'etica della fatica


Siamo in montagna.
(Nevica, se volete sapere che tempo fa)
Il piccolo ingegnere e la piccoletta vanno a scuola di sci.

Adesso faccio un po' la vecchia nonna rompipalle, che mi si addice (che ruolo divertente, non vedo l'ora!!)

Le scuole di sci dei miei tempi volevano anche dire ore e ore di salite a scaletta, se non sapevi prendere lo skilift, e immani traversate con scarponi ai piedi e sci in spalla, per raggiungere un altro impianto, se dovevi prendere un altro impianto. I maestri di sci ci guardavano con quell’aria un po’ da compatimento, come per dire che noi, quelli che venivano dalla città, in fondo non c’avevamo il fisico e un po’ di sana fatica non poteva che farci bene. Così imparavamo (quantomeno, ad avere l’ardire di voler imparare a sciare).

Oggigiorno, i bimbi hanno il pirulàn, come lo chiama la piccoletta (tapis roulant, nell'accezione comune) e la scaletta manco sanno cosa sia, e per di più i maestri si sono dotati di un carretto sul quale caricano gli sci dei bambini, affinché i pupi possano scorazzare senza troppa fatica fino all’altro impianto.

Da vecchia nonna rompipalle, non posso fare a meno di pensare che ai miei vecchi tempi ci insegnavano l’etica della fatica, e la disciplina della sofferenza, ed era un gran insegnamento, anche se le bambine lagnine come me stramaledicevano l’etica della fatica e tutte quelle menate.

C’è da dire. Che l'etica della fatica si è tramutata in etica della sfida, la voglia di puntare alto con i bambini, di mettere alla prova le loro capacità, e di insegnare a vincere. Il piccolo ingegnere, al primo giorno di lezione è stato spedito a fare la “seggiovia lunga”, come la chiama lui. È arrivato che si sentiva il re delle nevi. E la piccoletta, accolta in lacrime dalla maestra, oggi è uscita dal recinto del pirulàn e ha fatto il primo skilift con il maestro (nel senso letterale del termine, è salita sullo skilift con il maestro). È arrivata “felice come un maiale”, come continuava a ripetere (l’ingegnere ed io continuiamo a chiederle perché i maiali sono felici, ma attendiamo ancora delucidazioni).

Non posso fare a meno di fare un paragone con la piscina. A parte il fatto che l’acqua non è sicuramente l’elemento dei miei figli (e la montagna sì, e questo fa una gran differenza, ma comunque), la piscina dei piccoletti è, per me, l’esempio più devastante di "downgrading sportivo" venduto come sana pedagogia dello sport.

In piscina troneggiano cartelli con pillole di saggezza rivolte ai genitori: i bambini prima di tutto si devono divertire, non fate commenti su come i vostri figli hanno nuotato, non sostituitevi al maestro, e via di questo passo. All’inizio, ero entusiasta di questi cartelli. Finalmente un’etica dello sport, dicevo io (ingenua).

Il piccolo ingegnere ha passato due anni e mezzo a raccogliere fiorellini sul fondo della piscina piccola. Quando l’ho iscritto, a settembre, (perché anch’io sono gnucca, e lascio sempre un'altra possibilità), ho chiesto (ingenua, e gnucca):
“Beh, quest’anno gli insegniamo a nuotare?”
“Quest’anno farà ambientamento in piscina grande”
Ambientamento?!?

Il problema è: si divertono, questi bambini? O imparano che non ne vale la pena, in fondo?

La maestra di nuoto del piccolo ingegnere, ogni volta, chiede ai bimbi se “se la sentono” di entrare in piscina senza niente, o “se preferiscono mettere la cintura galleggiante”. Figuriamoci, il piccolo ingegnere che si dibatte tra l’etica del dovere e quella del minimo sforzo. La piccoletta ogni volta mi chiede di dire alla maestra “di non farle fare cose troppo difficili”. Cioè, raccogliere i fiorellini sul fondo della piscina.

Indovinate un po’. Andare in piscina è la peggior tortura che questa madre sciamannata sta infliggendo ai propri figli

domenica 1 marzo 2009

La famiglia Addams


“Papi, giochiamo che i miei peluches sono morti?”
“Sì tesoro… Guarda, se sono morti fai così, mettili tutti stesi e chiama tuo fratello… Topoooo… Fai il becchino, prepara le bare ai peluche”.

Cosa non ci si iventa per cercare di bere un tè in santa pace.