martedì 25 marzo 2014

La verità, vi prego, sui figli cresciuti



"Papi, è un'ora che cerco quel fumetto di Carl Barks e non lo trovo"
"Prova a guardare nel database"

Ti girerai pensando che è un dialogo da fantascienza tra una bimba di otto anni e suo padre. E invece no, è sabato mattina e sono proprio loro, padre e figlia, che ti danno la misura di quanto squinternata possa essere la tua esistenza in una casa dove esiste un database di fumetti (ma mancano molte altre cose che a te sembrerebbero più importanti).

Chiederai a tuo figlio di andarsi a comperare da solo, in cartoleria, i fogli da disegno già squadrati. E lui, imperterrito, starà lì ad aspettarti sulla soglia della cartoleria fino a quando non hai posteggiato la macchina e sei scesa. Ti incazzerai da morire, e tornati in macchina lui ti dirà: "Mamma, lo sai che sono timido" e tu gli urlerai che anche tu sei timida, ma che bisogna imparare a stare al mondo.

Ti parlerà di mafia per cento volte e la centesima volta gli chiederai: "Ma cos'è la mafia?", pensando che lui si sia costruito tutta una mitologia, e invece ti risponde: "E' un'organizzazione che fa attività come quelle legali, ma in modo illegale", e rimarrai così, di sasso.

Quella che a tre anni voleva solo vestirsi di rosa ti dirà che lei non si sposa, perché non ha tempo: deve mettere in piedi la sua fattoria. Nel frattempo, ovviamente, nell'armadio non c'è più alcuna traccia di rosa.

Ti romperanno l'anima perché non concepiscono di stare in casa senza amici un pomeriggio: e sarà tutto un "Mamma, posso invitare....?" fin dalle 8 del mattino... E se tu non risponderai perché ti sei persa la risposta cercando di sgusciare nel traffico mattutino alla rotonda, aspetteranno cinque minuti e poi: "Mamma, posso invitare...?".

Faranno finta di non sentire quando parli loro, infinite volte. Avranno i loro segreti, ti sfiniranno con la loro rivalità perché non si picchieranno più, ma si insulteranno con la rara maestria degli scaricatori di porto. Ripeterai loro le stesse cose, infinite volte. Penserai che sono dei menefreghisti viziati del cavolo. Colpa tua, ti dirai.

Inizierai, più spesso di quanto tu creda, a pensare "Sembro mia madre", e il pensiero ti rovinerà l'intera giornata, che tu lo faccia alle otto e venticinque della mattina come alle sette di sera. Ma il colpo di grazia arriverà proprio da loro, quando ti diranno "Sembri la nonna". E te lo diranno, prima o poi.

Diranno "Odio la pallavolo" a un povero genitore pallavolista che per fortuna in quel momento è seduto, e un mese dopo te li ritroverai a palleggiare per casa, contro il mobile in perfetta traiettoria con l'unico lampadario di vetro di tutta la magione.

Ma, su tutte, capirai che dieci anni fa ti raccontarono una grande balla, quando ti videro con le occhiaie e la faccia di una madre a tempo pieno e ti dissero di goderteli da piccoli, che con i figli cresciuti, allora sì che avresti avuto tempo per te. Per fare un corso di cucito, andare al cinema o anche solo scrivere un blog.

giovedì 6 febbraio 2014

Il Gender Pay Gap spiegato DA mio figlio

Interno sera, a cena.

Mio figlio racconta di un gioco che ha accompagnato gli intervalli della sua compianta quinta elementare: la città. Questo gruppo di ragazzini, dopo aver tentato di mettere su un casino clandestino in quarta elementare, in quinta si è dato a giochi più costruttivi - uno direbbe. E invece questa città è una specie di Sin City - o, più propriamente, è la riproposizione geniale e arguta come solo sanno fare dei ragazzini di quinta elementare, di ciò che li circonda.

I governanti (un sindaco, un banchiere, il capo della polizia e pochi altri) guadagnano immensamente più dei governati, Matteo ha vinto le elezioni ma due giorni dopo è finito in galera perché aveva comperato i voti, Giacomo lascia il posto da governante e finisce in disgrazia e fa tre lavori per tirare a campare (tra cui il giornalaio), il capo della polizia sventa furti di cellulari e intercetta i mafiosi (categoria mitologica, ormai) e via di questo passo.

E poi, mi racconta quella sera, tra i governanti c'è anche una femmina - gruppo sparuto, in una classe composta per due terzi da maschi.

"Rebecca faceva il sindaco in rappresentanza delle femmine", ci dice, "però noi guadagnavamo 10,000 e lei 8,000"
Io rimango a bocca aperta, la sorella inizia a stracciarsi le vesti: "Ma questo è razzismo, non è valido!!"
Lui ci guarda più stupito che mai.

"E scusa, perché Rebecca guadagnava meno?"
"Ma mamma, perché le femmine non partecipavano al gioco. E quindi lei rappresentava le femmine, ma guadagnava di meno. E' logico, no?"

Parte pippone benevolo sul fatto che se una donna ricopre lo stesso ruolo di un uomo, deve avere lo stesso stipendio, mentre tento di placare la pasionaria ottenne da centro sociale che grida alla segregazione razziale.

Alla fine lui mi guarda, poco convinto: "Va bene mamma, hai ragione. Comunque, dato che le femmine non giocavano, rimane uno spreco".

Più o meno nelle stesse ore, dall'altra parte dell'Oceano...
Today, women make up about half our workforce. But they still make 77 cents for every dollar a man earns. That is wrong, and in 2014, it's an embarrassment. A woman deserves equal pay for equal work. She deserves to have a baby without sacrificing her job. (...) Because I firmly believe when women succeed, America succeeds. 2014 Obama's State of the Union Speech 
(Amen. Io non so chi scrive i discorsi ad Obama, ma avercene)

Immagine: Joss&Main

venerdì 31 gennaio 2014

Liberiamo una ricetta: Torta allo Yogurt

Per #liberaricette alla sua seconda edizione libero una ricetta molto semplice che mi è stata regalata da una persona a cui voglio molto bene, per cui voletele bene anche voi. Signore e signori, la Torta allo Yogurt



INGREDIENTI:
1 barattolino di yogurt (125 ml, alla frutta o intero... E' uguale. Molto buono con lo yogurt ai frutti di bosco, però!)
lo stesso barattolino lo usi per fare le misure degli altri ingredienti:
2 barattolini di farina
3 barattolini di zucchero
1 barattolino di olio di semi
1/2 barattolino di latte
1 bustina di lievito
3 uova

PREPARAZIONE:
Separare i tuorli dai bianchi d'uovo, mescolare i tuorli con lo zucchero, la farina, l'olio, il latte e il lievito.
Montare i bianchi a neve e aggiungere il composto mescolando lentamente dal basso verso l'alto.
Infornare (in teglia imburrata e infarinata, io utilizzo lo stampo del plumcake) a 180° in forno già caldo per circa 40/45 minuti.
Non aprire mail il forno durante la cottura!!!
Quando il dolce è freddo puoi cospargerlo di zucchero a velo... Buono e semplice!!

Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia.Questa ricetta la regalo a chi legge. Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web, proprio così come libere vanno le amicizie, e la dedico al Centro Astalli.

venerdì 4 ottobre 2013

C'era una volta un blog, seduto sul sofà (feat. The Social Killed the Blog Star)

La prima testata del blog


C'era una volta un blog, seduto sul sofà, che disse alla sua bella: "Raccontami una storia"
E la storia cominciò.

La storia cominciò, ma poi a un tratto successe che la bella del blog iniziò a perdere le parole.
Una per una: una parola veniva lasciata nello straccio della polvere, una nell'andare a prendere i bimbi a scuola, un'altra in una fine, una quarta al recinto dei cani, la quinta su Instagram, e poi una ancora una parola per un pomeriggio con i figli, e almeno altre dieci su Facebook, una quindicina su Twitter, la trentunesima al bar con le mamme, la trentaduesima e la trentatreesima il primo giorno di scuola, e dalla trentatreesima alla quarantesima a preparare pranzi e cene, la cinquantesima a scrivere, la sessantesima ad ascoltare, e poi ancora altre dieci parole a fare lavatrici, e altre venti a ragionare con se stessa, leggendo quello che intorno a lei tutti opinionavano su Twitter e Facebook, e tante, tante altre parole le perse guardando i suoi figli che crescevano e quello che le accadeva intorno.

E così, la bella del blog rimase pian piano senza parole.
A quel punto, non le rimaneva che canticchiarsi una vecchia canzone: Ho perso le parole/Eppure ce le avevo qua un attimo fa/Dovevo dire cose/Cose che sai, che ti dovevo, che ti dovrei/Ho perso le parole, può darsi che abbia perso solo le mie bugie, si son nascoste bene/Forse però semplicemente non eran mie

Un po' ci era il fatto che la bella, davvero, non trovava il tempo di scrivere. Forse era stato proprio il tempo a portarle via le parole, chi può dirlo. Che la decrescita infelice che tanto bene ci racconta Barbara, ha anche questo inghippo - e potete vedere da voi, come usa bene le parole Barbara.

Poi ci era il fatto che la bella si guardava intorno, ed era perennemente grata ai web e ai social, ma un po' era  anche stordita da questo continuo vociare su tutto e tutto e tutto, e iniziava a chiedersi che peso stessero assumendo le parole, proprio quelle che non trovava più, fino a quando è incappata nel martirio mediatico del Beato Guido il Pastaio, reo di aver pronunciato alcune parole pericolose, quelle parole che oggi sono proprio perse, nel senso che non si sa bene che significato avranno tra un po' di tempo e di certo non si sa che significato hanno oggi  - e la bella non poteva non pensare a quando le parole latine, pian piano, furono svuotate del loro significato e riempite di significati diversi. E invece assisteva a una parodia dell'isteria del Pensiero Unico, da una parte e dall'altra, e pensava proprio che Twitter aiuta le rivoluzioni, se le persone hanno in testa la rivoluzione. Ma - e se le persone invece hanno in testa solo stereotipi e confusione, e neanche più parole da scambiarsi?

E quindi la bella  non era stata una blog star e non sarebbe diventata una social star, questo era poco ma sicuro. Ma il fatto era che c'erano in giro un sacco di parole scritte tanto per scrivere, che non pesavano un quarto di una parola detta per essere vissuta. E forse il problema era tutto lì, lei era troppo presa dalle parole da vivere.

E così la bella aveva in mente delle parole, le erano anche rimaste impigliate nella tastiera, ma poi vide cose come quelle che accadono davanti alle nostre coste, che la lasciarono di nuovo senza parole. E ancora una volta le veniva in mente di grandi movimenti di migranti del passato, che era un tempo in cui così in tanti avevano perso le parole, che sappiamo ben poco di quello che succedeva.

E poi perdeva le parole che le rimanevano ancora da scrivere, perché era tardi e doveva proprio scappare. Era indecisa, se pubblicare questo post o no, e poi schiacciò sul tastino arancione.

E la storia cominciò.